Secondo volume dell'epistolario beckettiano

Secondo volume dell’epistolario beckettiano

Prosegue il meritorio lavoro che stanno compiendo George Craig, Martha Dow Fehsenfeld, Dan Gunn e Lois More Overbeck per la Cambridge University Press. È infatti fresco di stampa il secondo volume di The letters of Samuel Beckett che copre gli anni dal 1941 al 1956 dell’epistolario beckettiano. L’opera completa sarà costituita da quattro volumi, un progetto poderoso (Beckett ha lasciato oltre 15.000 lettere) che nasce nel 1985 quando lo scrittore autorizzò formalmente Martha Dow Fehsenfeld, una delle curatrici, a curare un’edizione integrale dell’epistolario. Ancora non è stata resa nota la data di pubblicazione dei volumi III (19571969) e IV (19701989).

Come per il primo volume, anche questo secondo offre, oltre ai testi annotati di tutte le lettere scritte da Beckett, alcune foto dell’autore e dei suoi corrispondenti. Ma a differenza del primo i contenuti di questo secondo volume sono decisamente più interessanti. Fatta eccezione per gli anni della Seconda Guerra Mondiale, dove la produzione epistolare subisce un brusco freno, il resto delle pagine ospita il carteggio di uno dei periodi più incredibili della vita artistica dell’autore: la composizione della trilogia romanzesca (Molloy, Malone muore, L’innominabile), la stesura e la messa in scena di Aspettando Godot. Fa una certa impressione, per citare un caso tra tanti, leggere la versione integrale della celebre lettera che Beckett scrisse al regista Roger Blin il 9 gennaio del 1953, citata in tutte le biografie e in moltissimi saggi, in cui l’autore si lamenta perché è venuto a sapere che l’attore Pierre Latour (che impersonava Estragone nella prima messinscena del Godot, al Babylone di Parigi) non aveva fatto scivolare i pantaloni fino a terra come previsto dal copione ma li aveva fermati al ginocchio.

Scrive Beckett a Blin (la traduzione è mia):

Una cosa mi preoccupa:  i pantaloni di Estragone. Ho chiesto a Suzanne se erano caduti come dovevano e lei mi ha risposto che si sono fermati a metà. Questo non deve accadere. È assolutamente inopportuno. I pantaloni sono l’ultima cosa a cui pensa Estragone in quel momento. Non si accorge neanche che gli stanno cadendo. E anche se il pubblico si mette a ridere non fa niente. Il senso è proprio che nulla è più grottesco di ciò che è tragico e questo va ripetuto fino alla fine. Anzi, a maggior ragione alla fine.