La vita di Beckett diventa romanzo

La vita di Beckett diventa romanzo

Quando Jo Baker, l’autrice del bestseller Longbourn House (sorta di riscrittura di Orgoglio e pregiudizio in cui il capolavoro di Jane Austen veniva raccontato dal punto di vista della servitù di casa Bennet), muoveva i suoi primi passi di scrittrice, conobbe Barbara Bray.

Bray, critica teatrale e traduttrice, fu per Samuel Beckett qualcosa di più di una semplice amica. Per Jo Baker fu solo un prezioso mentore. È questo “l’aggancio personale” – come lo definisce nelle note a margine – che l’ha spinta a scrivere “L’Irlandese”, versione romanzata di un frammento della biografia di Beckett che si estende (se si esclude il prologo ambientato nel 1919 a Cooldrinagh) dal settembre del 1939 al gennaio del 1946.

Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale, in cui l’irlandese, dunque neutrale, Samuel Beckett tifa Francia senza nasconderlo. Sono anni di morte e distruzione, deportazioni e terrore, ma sono anche gli anni, per Beckett, della formazione definitiva della poetica che l’avrebbe reso celebre, sono gli anni dell’illuminazione e del definitivo distacco da Joyce.

Jo Baker racconta questi anni con uno stile pienamente narrativo (L’Irlandese – uscito per Einaudi l’anno scorso e in originale nel 2016 con il titolo A country road, a tree come l’incipit di Aspettando Godot – è in tutto e per tutto un romanzo e il lettore che nulla sa di Beckett seguirà comunque con trepidazione le attività clandestine della cellula della Resistenza, le fughe dai nazisti, il dramma degli amici arrestati, la storia d’amore con Suzanne, il fondo e la risalita, come se leggesse un romanzo di pura fantasia ambientato nella Francia del secondo conflitto mondiale), ma al tempo stesso forte dell’invidiabile scorta di una documentazione profondissima. La scrittrice inglese ha studiato bene le principali biografie beckettiane e, nonostante la scarsa corrispondenza degli anni di guerra, l’epistolario, per non parlare dell’opera omnia del Nostro le cui citazioni – alcune davvero appena accennate, ma identificabili da chi frequenta le pagine di Beckett – affiorano qua e là nella narrazione.

“La guerra per Beckett non fu un semplice momento di transizione; – racconta Baker nella nota a margine – lo mise di fronte a una serie di straordinarie scelte morali. E ogni volta che dovette prendere decisioni estreme, optò sempre per la soluzione più umana, generosa e intrepida.”

Jo Baker sceglie insomma di affrontare non gli anni più succosi della stagione dei capolavori, né i “verdi” (nel doppio senso di acerbi e irlandesi) esordi dello scrittore nella sua terra natale, ma quella zona d’ombra trascurata dagli studi ufficiali (vale la pena ricordare però The world of Samuel Beckett 1906-1946 di Lois Gordon e il reportage dello stesso Beckett La capitale delle rovine) in cui tutto ha avuto inizio. Un’ombra serotina in cui i futuri Vladimiro ed Estragone, che avrebbero trascorso la loro immaginaria eternità ad aspettare Godot, assumono per un soffio di anni le sembianze di Sam e Suzanne.