
Il secondo volume dell’epistolario
«Scrivere è impossibile. Ma non ancora impossibile a sufficienza» (Samuel Beckett, lettera a Barney Rosset, 11 febbraio 1954)
Continua per Adelphi la pubblicazione in lingua italiana del corposo epistolario beckettiano (oltre 15.000 lettere) curato dalla Cambridge University Press. Al primo volume (1929-1940) uscito nel 2017 si affianca ora il secondo che copre gli scambi epistolari tra il 1941 e il 1956, fase decisiva della biografia beckettiana.
Fatta eccezione per gli anni della Seconda Guerra Mondiale, infatti – dove la produzione epistolare subisce un brusco freno – il resto delle pagine ospita il carteggio di uno dei periodi più incredibili della vita artistica dell’autore: la composizione della trilogia romanzesca (Molloy, Malone muore, L’innominabile), la stesura e la messa in scena di Aspettando Godot. Fa una certa impressione, per citare un caso tra tanti, leggere la versione integrale della celebre lettera che Beckett scrisse al regista Roger Blin il 9 gennaio del 1953, citata in tutte le biografie e in moltissimi saggi, in cui l’autore si lamenta perché è venuto a sapere che l’attore Pierre Latour (che impersonava Estragone nella prima messinscena del Godot, al Babylone di Parigi) non aveva fatto scivolare i pantaloni fino a terra come previsto dal copione ma li aveva fermati al ginocchio.
«Chi legga le lettere degli ultimi anni coperti da questo volume non potrò avere dubbi sulla forte ambivalenza di Beckett nei confronti della propria carriera letteraria – scrive Dan Gunn nell’introduzione – sul profondo desiderio di sparire dalla sfera pubblica accompagnato da baldanzose affermazioni, pose e rivendicazioni; sulla percezione di sé come di uno “che ha poche prospettive professionali”, la definizione con cui, complice un pizzico di humour, si sminuisce in una lettera del 1952 indirizzata all’aspirante romanziere Aidan Higgins.»
Anche questo volume, curato da Franca Cavagnoli con la traduzione di Leonardo Marcello Pignataro, riproduce fedelmente struttura e contenuti – compreso il sempre interessante apparato iconografico – dell’edizione della Cambridge University Press.