
Il Krapp di Mauri, trionfo del classico
Eccede in prudenza Glauco Mauri quando al termine della sua interpretazione del Krapp – invitato sul palco da Gabriele Lavia, direttore artistico del Teatro Argentina di Roma, a scambiare quattro chiacchiere con il pubblico – dichiara: «so che alcuni mi accusano di fare un Beckett troppo umano, ma per me Beckett è così». E infatti Beckett è così, senza bisogno di giustificarsi.
Anzi, quello che abbiamo visto ieri sera – in occasione della seconda delle tre “Serate d’onore” a ingresso libero del Teatro Argentina in cui altrettanti attori propongono i loro cavalli di battaglia – si può dire sia L’ultimo nastro di Krapp “original flavour”, senza additivi né coloranti. È il Krapp che qualunque lettore si immagina la prima volta che legge il testo, un Krapp malinconicamente fiabesco nella sua vecchiaia e grottescamente marziale nella sua giovinezza. E Mauri, che per primo portò in Italia la pièce beckettiana nel 1961 riutilizza oggi in scena, a cinquant’anni di distanza, proprio quelle registrazioni, realizzando così un soggiogante cortocircuito temporale tra realtà e messinscena.
Ieri, assistendo per l’ennesima volta a un Krapp interpretato con così tanta pulizia, mi sono reso conto di come questo testo sia il più romantico di Beckett. Altro che teatro dell’assurdo. Qui Beckett ha toccato il melodramma.