Biciclette beckettiane

Biciclette beckettiane

Su un vecchio numero del Journal of Beckett Studies c’è un articolo di Janet Menzies dedicato alla presenza di veicoli a due ruote in molte opere di Beckett: Watt, Più pene che pane, Mercier e Camier, Molloy. Secondo la Menzies la bicicletta, in quanto mezzo alimentato dall’energia cinetica prodotta dall’uomo, è una metafora del meccanismo narrativo. Così come la bicicletta muove, consumando fatica, le persone, la trama muove con complessità i personaggi.

La bicicletta – conclude la Menzies – incarna una qualità fondamentale dell’uomo secondo la poetica beckettiana: il binomio ambizione-fallimento. E cita una lettera di Beckett a George Reavey del 1932: “Resterò sempre qui, scivolerò lungo dolci sentieri sulla bicicletta di qualcuno“.

Il breve studio di Janet Menzies non è un caso isolato. Anche lo scrittore tedesco Friedhelm Rathjen (che a Beckett ha dedicato diversi volumi critici, tra cui In principle, Beckett is Joyce e Samuel Beckett und seine Fahrräder) si è occupato del tema.

Rathjen ci ricorda come in gioventù Beckett amasse pedalare tra le morbide colline d’Irlanda, prima, e attraverso i paesaggi francesi, poi. «L’opera di Beckett – scrive l’autore tedesco – è nota per essere intrisa di disperazione è squallore. Ma quando entra in scena una bicicletta ecco che appare una luce di speranza, e di amore perfino».

E a proposito del personaggio più celebre di Beckett, Godot, Rathjen cita un saggio di Hugh Kenner in cui il critico canadese ricorda quando Beckett, interrogato per l’ennesima volta sull’identità del misterioso protagonsita dell’opera, rispose: «Un ciclista».

Sarebbe dunque lui l’uomo che aspettavano invano Estragone e Vladimiro?

Il riferimento era a Roger Godeau (il cui cognome si pronuncia allo stesso modo di Godot), un ciclista francese che si distinse in molte competizioni sportive intorno alla metà degli anni ’40. Beckett approfittò della similitudine fra i due cognomi per liquidare l’intervistatore.