
Beckett e computergrafica: la ricerca continua
Ho avuto occasione di vedere un riassunto a cartoni animati dell’Ulisse di Joyce e versioni a fumetti dei racconti di Kafka, ma il rapporto tra la poetica di Samuel Beckett e i mezzi di espressione più avanzati e spettacolari è qualcosa di più profondo. Con i loro precisissimi riferimenti geometrici e le loro meticolose descrizioni dei movimenti, le prose e il teatro di questo autore invitano il lettore/fruitore di Beckett (l’arcispettatore dell’arcimedialità beckettiana, per ricorrere a una formula che mi auguro ormai consolidata tra gli addetti ai lavori) a ricreare modelli più o meno virtuali degli spazi descritti nelle opere dell’Irlandese.
Ne so qualcosa io che quando ho iniziato a mettere su www.samuelbeckett.it ho sentito immediatamente l’esigenza di corredare le schede critiche delle varie opere con schemi “fatti in casa”. come ad esempio nel caso di Trio degli spiriti oppure Lo spopolatore. Ed è proprio di questa meravigliosa prosa breve che Beckett scrisse nella seconda metà degli anni Sessanta che nel 2008 è stata realizzata una complessa versione tridimensionale interattiva: uno spazio esagonale di cinque metri di diametro con sei schermi e dodici proiettori. Il progetto si chiama Unmakeablelove ed è stato realizzato da Sarah Kenderdine e Jeffrey Shaw, due artisti contemporanei austrialiani (ne sono venuto a conoscenza grazie al sempre ottimo A piece of monologue). Qui di seguito un breve documentario che illustra il “funzionamento” di questa installazione:
Come si può vedere gli autori hanno aggiunto un elemento che rompe la barriera tra spettatore e oggetto dell’osservazione. A differenza del lettore della prosa, infatti, il fruitore di Unmakeablelove ha a disposizione una torcia elettrica che può scegliere di puntare di volta in volta su una delle circa duecento anime perdute che popolano il cilindro. Nel sito dedicato al progetto gli autori spiegano che l’uso della torcia vuole proprio sottolineare la tensione psicologica che viene a crearsi tra lo spettatore e gli altri, confinati nello spazio beckettiano.
Non è la prima volta del resto che artisti contemporanei abbiano avvertito l’urgenza di ricreare fisicamente l’ecosistema descritto ne Lo spopolatore.
Nel 1973 David Warrilow, uno degli attori che più strettamente hanno collaborato con Samuel Beckett, mise in scena insieme alla compagnia teatrale d’avanguardia Mabou Mines un adattamento de Lo spopolatore che prevedeva l’uso di un modello in scala della rotonda descritta nella prosa e un gran numero di miniature che rappresentassero appunto i lost ones del testo (le due foto sopra sono tratte da qui).
Nel 1996, invece, Lance Gharavi realizzò una versione di Commedia in realtà virtuale (concetto che a metà degli anni Novanta era quanto di più avanzato si potesse immaginare e che oggi è già stato soppiantato dalle tecniche di augmented reality cui si rifa – tra l’altro – il già citato Unmakeablelove). Gli spettatori erano dotati di speciali occhiali I-VR per godere appieno dell’avvolgente sensazione di tridimensionalità.
A vederle oggi queste foto (tratte da qui) fanno un po’ sorridere, ma è sorprendente come Beckett abbia saputo ispirare così tante sperimentazioni sempre al passo con gli ultimi ritrovati in campo tecnologico. Sarebbe interessante analizzare se tutti questi progetti paralleli che sono fioriti a partire dalle opere di Beckett abbiano contribuito alla comprensione delle opere stesse oppure se queste non siano state soltanto un pretesto per cimentarsi con le nuove forme di espressione. In altre parole, mi sono sempre chiesto se tutto questo sia di maggiore interesse per il beckettiano o per l’appassionato di videoarte. Ma non è questo il momento per approfondire un simile tema.
Voglio invece chiudere tornando a Unmakeablelove. Mi sono chiesto come mai Shaw e Kenderdine abbiano deciso di usare questo nome (che potremmo tradurre con “amore irrealizzabile“) per il loro progetto. Rileggendo la scheda critica che ho scritto per Lo spopolatore ho visto che avevo citato un preciso passaggio della prosa in questione, che mi sembra rispondere in parte alla domanda. Eccolo qui.
La stessa scala alzata verticale al centro del suolo farebbe guadagnare agli stessi corpi circa mezzo metro permettendo loro di esplorare con comodo la zona favolosa che si dice essere inaccessibile ma che in effetti non lo è per niente. Perché un simile uso della scala è concepibile. Basterebbe che una decina di volontari decisi unissero i loro sforzi per tenerla in equilibrio eventualmente coll’aiuto di altre scale fungenti da puntelli. Un attimo di fraternità. Ma se si escludono le vampate di violenza non conoscono la fraternità più di quanto la conoscano le farfalle. E ciò non tanto perché difettino di cuore o di intelligenza quanto perché sono tutti prigionieri del loro ideale.